Crossfire Hurricane

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“Non lasciare che la verità rovini una bella storia”.
Con questa battuta inizia Crossfire Hurricane, documentario sulla storia dei Rolling Stones che ripercorre gli anni fulcro della band inglese, partendo dagli esordi nei club Londinesi fino ad arrivare alla fama mondiale. Le voci narranti sono quelle degli stessi Stones, che, senza mai comparire, ci introducono nella favola sregolata della propria storia, aggiungendo realismo, aneddoti, sensazioni e tutto ciò che riescono a ricordare.  Quello che altrimenti sarebbe potuto essere un banale e freddo resoconto assume le sembianze di un manoscritto concentrato di verità, intriso di alcol, sangue e blues. Le memorie di Jagger e compagni, come da loro beffardamente ammesso, spesso fanno cilecca e sono ricolme di lacune a causa di decenni di eccessi mai nascosti e, anzi, spesso evidenziati, ma non per questo le loro parole sono meno passionali.

Crossfire Hurricane ci trasporta in un preconcerto americano del 1972, dove un giovane e spazientito Mick Jagger  viene tempestato di domande da un giornalista, alle quali risponde in maniera evasiva e fuorviante, prima di scatenarsi sul palco in quella che al tempo si chiamava matinée. Il frastuono musicale viene bruscamente interrotto da un cambio scena, dove scopriamo il quintetto in procinto di imbarcarsi su un aereo che li avrebbe condotti verso il prossimo bagno di folla. Interessante il montaggio che mette in contrapposizione la musica semi assordante che si staglia sulle immagini dell’esibizione, con l’assoluta afonia del viaggio volante. Il volume torna gradualmente man mano che ci si avvicina all’atterraggio, mentre si fa sempre più vicina una nuova sregolata performance della band. Da questo insolita introduzione torniamo sui nostri passi per fare meta verso gli albori della carriera, quando il teatro degli eccessi dei futuri antiBeatles si riduceva a poche decine di fan e a ambienti decisamente modesti. Gli Stones ci sbattono subito in faccia la loro bruciante crescita esponenziale, che li ha presto esiliati dalle bettole per  darli in pasto a platee sempre più grandi. Fase cruciale in questo processo viene riconosciuta ad Andrew Oldham, al quale viene tributato il riconoscimento di aver lavorato molto bene sull’immagine; a lui si deve la nascita della contrapposizione con gli scarafaggi, dell’annoversarsi dei Rolling Stones nella schiera dei brutti e cattivi, dei cupi, degli irregolari, insolenti e maleducati,  coloro che le mamme non vorrebbero come maritati alle proprie figlie. E il quintetto ha fatto di tutto e di più per essere a proprio agio nel vestito confezionatogli addosso.

Brett Morgen, regista anche del recente Kurt Cobain: montage of heck, sceglie di mettere in primo piano fin da subito la potenza dei concerti, la forza che sprigiona la musica delle pietre rotolanti, e le reazioni esagerate suscitate nel pubblico. Ragazzine incapaci di trattenere i propri istinti, involontarie vittime di perdite di urina, o eccitate fino all’umido piacere, in un’anarchia perversa che sembra non avere limiti. Ragazzi che, invece, percepiscono l’incitazione a dare sfogo alla propria aggressività: cosa che porterà sovente  all’innocua interruzione di alcuni concerti dopo poche canzoni, fino ad accendere la miccia di brutali scontri con la polizia. I live diventano l’occasione principale per cedere alle dolci e crudeli tentazioni della rivolta, per abbandonarsi rapiti alla violenza e a quel tipo di disordine seducente. Del resto i Rolling Stones non fanno nulla per discostarsi dal ruolo di agitatori e, anzi, incitano spesso alla ribellione con continui atteggiamenti fuori dalle regole, con modi di fare sfrontati e improntati alla trasgressione, sessuale e non solo. Nonostante questo crescente impatto sulle generazioni, questo fomento involontario che innescano nelle menti dei giovani,  Jagger, in un’intervista concessa all’epoca, dichiara che quasi tutto quello che fanno in pubblico fa parte di una recita, che raggiunge il suo apice durante i concerti. In questo afferma di ispirarsi a Little Richard, rifacendosi nuovamente, dopo aver rubato il nome ad un pezzo di Muddy Waters, alla tradizione del Blues del delta.

Morgen fa spesso affidamento a montaggi insoliti, che miscelano immagini e filmati che apparentemente non hanno nulla da spartire. Foto che imprigionano scene di guerra, di povertà, di rivoluzioni, di politici e di scontri sanguinosi vengono fatte scorrere velocemente una dietro l’altra e mischiate con filmati di pubblicità, di avvenimenti e di personaggi del tempo, e, totalmente in contrapposizione, completati con video di concerti ed esibizioni degli Stones. Il tutto mentre la musica indiavolata dei Londinesi picchia forte e incessante. E’ chiara la volontà di sottolineare l’enorme impatto e influenza sulle generazioni dell’epoca, checchè ne dicesse Jagger, ed è altrettanto limpido il voler fare leva su situazioni di portata estrema, come i conflitti bellici, per creare un contesto di alienazione e di stupore intimorito nello spettatore.

Un ulteriore punto centrale non può che essere quello degli eccessi. Con Brian Jones e Keith Richards sugli scudi, i vizi dei Rolling Stones sono stati da sempre il letimotiv indiscusso e il comune denominatore dei primi scintillanti anni di carriera. Le droghe sono da sempre l’hobby preferito dalla band, e porteranno, oltre alla sensazione ripetuta più volte di “non poggiare i piedi per terra per molti anni”, agli arresti di Jagger e Richards. L’anima strumentale nonchè il quarto miglior chitarrista di sempre per la rivista, manco a dirlo, Rolling Stone, sarà duplicemente catturato dalle forze dell’ordine, e ammetterà che l’unico istinto capace di far cessare la sua più che decennale schiavitù chimica sarà la sopravvivenza del gruppo. Impulso che purtroppo  non è stato sufficiente per Brian Jones, portato all’autodistruzione dalla tossicodipendenza, incapace di salvarsi e di essere salvato. In realtà gli altri membri della band confessano sommessamente che forse avrebbero potuto fare qualcosa di più verso il loro ex compagno ma che ormai la sua discesa verso gli inferi era nell’aria e che, forse, era ormai irreversibile. Le sostanze stupefacenti vengono sempre viste in maniera tollerante da Morgen e, naturalmente, dagli stessi Rolling Stones. Non c’è una vera e propria condanna da parte del regista che le accetta come pezzi di un puzzle dove non ci sono regole. Così come c’è indulgenza verso tutto ciò che viene comunemente additato come sbagliato dalla società benpensante, che, ovviamente, si scaglia a più riprese e senza pietà verso i cinque.

Tappa irrinunciabile di questo percorso cinematografico non può che essere il concerto di Hyde Park, appena due giorni dopo la morte di Jones. Mezzo milione assistettero con passione a quello che, pur non essendo stato concepito come tale, divenne il commiato e il tribulo di un popolo ad uno dei suoi menestrelli più amati. L’arrivo di Mick Taylor ci porta nuovamente in tour con una nuova formazione ed è proprio l’ultimo arrivato a svelare che probabilmente è stato il girare il mondo per suonare a salvare gli altri Stones dalla prematura fine di Brian. Sorte tristemente condivisa da uno sfortunato ragazzo accorso, come altri trecentomila, al concertone gratuito in stile Woodstock tenuto ad Altamont nel dicembre 1969; il racconto e le immagini di una tragedia annunciata sono agghiaccianti, sopratutto se provengono dal punto di vista sterile dei musicisti inermi. Una chicca è la fugace ma significativa apparizione nella pellicola di Michael Lang, principale organizzatore della tre giorni di pace, amore e musica che cambiò il mondo. Le droghe continuano a rivestire il filo conduttore per la band, al pari della musica, e lo sono anche quando il quintetto decide di emigrare dal Regno Unito per sfuggire al fisco e rifugiarsi nella Francia del Sud, in un vivere irregolare fatto di edonismo, sbronze, sregolatezze sessuali. La quintessenza dell’indisciplina.

Raggiunto l’apice e conquistato il mondo ben prima del raggiungimento dei quaranta, Crossfire Hurricane ci conduce sopra le folle oceaniche che si radunano di fronte a quei cinque, e decide di sorvolare veloce le decadi semi anonime per arrivare ad un momento atemporale, dove la band fa quello che meglio le riesce  e quello per la quale è divenuta immortale: suona.
Non si resta giovani per sempre”, ci lasciano come ultimo messaggio, alludendo esplicitamente a loro stessi.
Sarà vero?

P.S.: Non perdete tempo a cercare il film in Italiano
C’è soltanto la versione coi sottotitoli.

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