The Beatles – Sgt. Pepper and beyond

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Sgt Pepper and Beyond, annunciato e presentato come il sequel di Eight Days Week, uscito poco più di un anno fa, è stato nelle sale di alcuni cinema per quattro giorni, dal 31 maggio al 2 giugno. Ron Howard si era occupato dei touring years dei Beatles, focalizzandosi sulla beatlemania e su come era nato il mito, gettando qualche occhiata ai periodi successivi. Il film di Alan G. Parker, invece, sembrava doversi concentrare sulla seconda parte della carriera del quartetto di Liverpool e, in particolar modo, mettere a fuoco e sviscerare Sergent Pepper’s Lonely Hearts Club Band.

Se non ci siete stati non dannatevi l’anima. Sarà che negli ultimi mesi mi sono divorato tutta l’Anthology, oltre al già citato Eight Days a Week, sarà che conciliava col cinquantenario dell’uscita dell’omonimo album, sarà che la pubblicità sembrava promettere un documentario di grande spessore. Sarà per tutto questi motivi che sono uscito dalla sala cinematografica con un’abbondante dose di amaro in bocca. “Magari è un’impressione mia, magari le mie aspettative erano troppo alte”, mi sono detto. Ma l’imbattermi in un’amica che aveva avuto la mia stessa impressione, e che mi ha regalato uno sguardo scettico come giudizio, mi ha fatto pensare che forse la mia è un’opinione condivisibile.

Sgt. Pepper and Beyond è un film confuso e indeciso, che sembra non essere conscio del suo ruolo e di ciò che vuole raccontare. Parte dal narrare le motivazioni che hanno portato i Beatles alla rinuncia ai tour, antefatto che può senza dubbio riuscire utile per contestualizzare il momento storico e ricollegarsi idealmente al film di Ron Howard. Si muove in alcune dinamiche e pensieri che la band affronta prima di tornare a fare musica, viatico morbido e delicato che porta gradualmente e senza scossoni alla biografia della realizzazione di uno dei loro album più famosi. Il cuore del documentario si preoccupa di analizzare le canzoni, la copertina e si diverte coi retroscena curiosi raccontati da molti personaggi corollari della storia dei Beatles. Il film per lunghi tratti rimane immobile, paralizzando il tempo o facendolo muovere più lentamente possibile, per permettere lo sviluppo di quante più possibili tematiche riguardo Sergent Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Proprio quando mi sembra di capire che quel “beyond” del titolo è forse ingannevole, e che tutta la durata verterà sulla genesi del disco, ecco che la pellicola riprende a marciare sull’asse temporale, dando l’impressione di voler mantenere al centro Sergent Pepper’s senza però omettere i fatti a venire. Tuttavia l’incedere è zoppicante e spesso la trama incespica, apparendo incerta e poco fluida. La narrazione si districa tra il declino e la morte di Brian Epstein e l’esperienza della meditazione trascendentale, relegando cenni anche alla fondazione della Apple. Poi decide di fermarsi, lasciando noi spettatori un po’ interdetti sulla scelta. Perchè bloccarsi a questo punto? Perchè dedicare l’epitaffio a episodi intermedi della vita dei Beatles senza prendere in considerazione gli ultimi anni? Perchè allora non concentrarsi esclusivamente sulla gestazione del disco e fornire una panoramica completa al riguardo? Domande alle quali il regista non risponderà, o per lo meno non di certo a me, e che mi sono portato dietro nel tragitto verso casa.

Per la realizzazione del film sono stati chiamati in causa molti personaggi che hanno interagito e lavorato con la band negli anni della loro attività. Viene data loro la parola molteplici volte e questo aggiunge un alone di veridicità alla storia trattata, oltre a molti aneddoti e curiosità. Si percepisce chiaramente la voglia di cambiamento che fermentava in Inghilterra nella seconda metà degli anni sessanta, l’intreccio tra aspetti sociali, le droghe, il look e la moda. E’ un momento di grande rivoluzione per la società e Sergent Pepper’s Lonely Hearts Club Band è parte integrante della rivolta. L’album viene fatto nascere in tempi lunghissimi per l’epoca, e questo genera una forte attesa, ben resa nel film. Peccato che in tutta la sua durata non ci sia neanche un minuto di musica. Esatto, neanche una strofa viene fatta suonare. Un controsenso abbastanza lampante per  un prodotto che si pone come obiettivo primario quello di analizzare un disco nonchè una mancanza che pesa come un macigno per noi pochi presenti al cinema.

Non mancano anche altri aspetti discutibili. Le testimonianze talvolta sono contrastanti rispetto ad altre che si ritrovano in documentari antecedenti e in particolar modo nell’Anthology. Una su tutte quella che definisce Maharishi un imbroglione. Non si ci sono altre situazioni dove gli intervistati danno questa lettura e sembra una voce unica in mezzo a pareri contrastanti. Dove sta la verità? Stesse perplessità suscitano le affermazioni delle spiccate tendenze masochiste di Epstein e della presunta leadership di McCartney nella realizzazione di Sergent Pepper’s. Nel film è lui il motore di tutto, colui che tira le fila del lavoro e che sembra avere più potere decisionale, affermazione che non trova riscontro in altri filmati al riguardo. Inoltre i ritratti dei Fab Four sono riservati ai soli John e Paul. George e Ringo non sono mai oggetto di attenzioni, quasi fossero dei semplici comprimari.

In conclusione Sgt. Pepper and Beyond, nonostante riveli molti dettagli curiosi, interessanti e poco conosciuti,  non mantiene le attese e la sua non eccellente qualità viene fatta risaltare dal paragone inevitabile col recente Eight Days a Week. Un vero peccato per un album cardine della storia della musica del novecento che avrebbe meritato di essere celebrato in maniera più adeguata.

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